Miao a tutti, eccomi qui dopo visita neurologica (dr.vernieri).
Prima ci metterei qualche sbuffo, giusto per iniziare, ma sono sbuffi relativi.
Il medico mi è sembrato una brava persona, mi è sembrato preparato e gentile. Premetto che mi presentavo con una delle mie peggiori facce (occhio tumefatto e lacrimante, naso colosissimo e un po' rimbambita da tre attacchi del mattino e un viaggetto di ottanta chilometri).
Dopo lunga anamnesi, visita, controvisita e occhiata ai precedenti esami il medico mi ha espresso tre fatti:
Primo. Accidenti al neurochirurgo che curando l'ernia cervicale non ha saputo realizzare che c'era una cefalea in piena espressionegalattica. Accidenti a lui se invece di abbottarmi di cortisone, pacche sulle spalle e elettromiografie avesse guardato un attimo al di sopra della chirurgia e avesse ammesso che non ci capiva un cappero.
Sempre primo. Accidenti al neurologo che ha curato un grappolo con farmaci adatti all'emicrania ma inutili per curare un grappolo.
Accidenti anche se sicuramente entrambi erano in buona fede e pur tuttavia i mesi di sandomigran alla fine mi hanno fatto prendere quei cinque chili che almeno non sembro più un grissino.
Secondo. Il medico si interroga e si adopererà per fare diagnosi differenziale tra cefalea a grappolo cronica e
emicrania parossistica. Impossibile tuttavia provare con l'indometacina (che sembra sia efficace nell'e.parossistica ma non nella ch) perchè sono allergica ai fans. I suoi dubbi nascono dal fatto che gli attacchi nei periodi peggiori sono numerosi (7-8 nelle 24 h), e che ultimamente sono relativamente brevi (dai 20 minuti a un ora se uso la tecnica del freddo, red bull o caffè, altrimenti in verità sforano anche l'ora e mezza). E' evidente che non ci sono vere e proprie remissioni, se non nei mesi invernali quando la frequenza degli attacchi e anche l'intensità diminiuiscono vertiginosamente (ma mai più di quattro-cinque giorni senza almeno un attacco). A venire una serie di esami diagnostici (rm cranio, angiografie varie).
Terzo. Suppliche e contro suppliche ma non ha voluto prescrivervi l'ossigeno.
In compenso per comprendere la differenziazione di cui al punto due mi ha prescritto l'isoptin (a crescere fino a 80mgx3/die), iniziato stamattina con il naso tappato. Dice che eventualmente l'ossigeno me lo darà alla prossima. Che è giovedì mattina, quando mi farà anche alcuni esami di cui sopra. Data la mia espressissima NON intenzione di farmacologgizzarmi si è stretto un reciproco patto di temporaneità della terapia farmacologica, quanto serve per stabilire una diagnosi il più chiara possibile (ma...la chiarezza è davvero possibile?), il patto prevede che voglio l'ossigeno. Nel patto mi ha spronato a presentarmi a visite serrate per qualche tempo, almeno fino a una stabilizzazione della situazione. Ho ammesso di essere una paziente per niente paziente.
Dunque ragazzi, farmaci o non farmaci?
Ci penso da ieri, oggi pomeriggio sono riuscita a fare un pisolino gigante di un'ora e mezza interrotto da incubo a tema.
Quante volte ho ringraziato i farmaci di esistere, e altrettante ho nel mio (ex)lavoro visto gente salvata da farmaci salvavita. Nutro profondo rispetto per i farmaci, ma. Ma. Ma assumere farmaci costantemente, vita natural durante, assume un altro spessore per me.
Vi risparmio la storia della mia vita, che come quella di ogni altro individuo rivela percorsi fatti da milioni di storie che prima o poi si intrecciano con qualche malessere psicofisico, solo psico o solo fisico. Sempre, tutti, ognuno incontra il dolore nella vita e lo affronta in mille modi diversi fino a trovare un equilibrio che per lui è quello migliore per quanto sempre in evoluzione e sempre perfettibile. Così io vivo questo mio percorso, e in questa mia storia, oggi, vorrei che non ci fosse un farmaco tre volte al giorno a cadenzarmi la giornata. E' un "da oggi in poi" che non si allinea con la mia persona, una specie di contrasto che non mi appartiene.
Tempo fa mi sono più volte appellata alla sfi@a immonda, ma direi che oggi sento che posso anche vedere un po' oltre. Se dunque c'è questo dolore che mi accompagna, posso in qualche modo affrontarlo crescendo invece che sentirmi sua schiava? Forse si. In fondo due anni fa lasciavo i segni sul muro e il muro li lasciava a me, invece oggi c'è un modo diverso in cui affronto gli attacchi. Vivo molte cose in modo diverso, dal dormire/mangiare/lavorare alle cose più sottili, eppure sono sempre io, e, in fondo, continuo a piacermi.
Vorrei continuare a cercare. L'ho detto anche al medico, ma per lui è diverso. Per una volta ho compreso veramente che un medico può darmi degli strumenti, ma che sarò io a decidere se e come usarli, che un dolore è fatto di dettagli che nessun'altro può vedere se non chi lo vive.
Scusatemi la lagna, ma desidero veramente un confronto con voi che vivete questa esperienza immensa e prepotente, perchè sono certa che, al di là dei semplici (comunque preziosissimi) consigli tecnici, ognuno di voi ha vissuto e vive riflessioni che sono più grandi della decisione di assumere un farmaco o no. Sono certa che ognuno di voi fa i conti ogni giorno con i dettagli e i gesti che si modulano a questo disturbo. E forse altri come me considerano il disturbo una caratteristica che ha anche qualcosa da dare e non solo ore da togliere.
Giorni fa un'amica si lamentava per l'influenza che l'ha allettata. Raffreddore, febbrina. Soffriva molto. Così per ognuno le priorità sono differenti, anche i livelli di dolore lo sono. Ci sono dolori che io non vivrò mai, altri che ho vissuto, e questo che ora mi appartiene. Allora forse c'è anche un percorso che mi appartiene e che riguarda i passi che farò per vivere con questo dolore o per far si che questo dolore non infierisca oltre sulla mia felicità.
Ci sono miriadi di alternative ai farmaci, che comprendono anche provare miriadi di farmaci. Anche e non soltanto.
So che è pesante assai ciò che vi scrivo, ma con chi altri potrei riflettere su questo dolore se non con voi?
Vi voglio bene.
(grazie a chi è riuscito a leggere tutto)
lidia