Autore Topic: ARTICOLO SULL'ESPRESSO  (Letto 7450 volte)

Offline BRIZZ

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ARTICOLO SULL'ESPRESSO
« il: Gennaio 13, 2006, 17:55:30 Ven »
C'E' UN INTERESSANTISSIMO ARTICOLO SULLA CEFALEA A GRAPPOLO E SOPRATTUTTO SU UN NUOVO TIPO DI OPERAZIONE AL CERVELLO,PIU' LEGGERA E MENO PERICOLOSA (COSI' DICONO) ; AL POSTO DEL'AGO IN PROFONDITA', SI PARLA DI UN MICROCIP SOTTOPELLE DIETRO LA NUCA .
IL TUTTO GESTITO SEMPRE AL BESTA E SEMPRE DAL DOTT. BUSSONE (INSIEME AI DOTT.RI FRANZINI E LEONE)

SAREBBE UTILE, PENSO, METTERLO SUL FORUM MA NON SO' COME SI FA'.

CIAO A TUTTI BRIZZ :)

P.S. DA DUE GIORNI NON HO PIU' ATTACCHI ......................,FACCIAMO LE CORNA......................
Fabrizio Amadio
Cel. 366-2683385 

Skianta

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Re:ARTICOLO SULL'ESPRESSO
« Risposta #1 il: Gennaio 13, 2006, 22:22:12 Ven »
CI PENSO IO    :) :) :) :) :) :) :) :) :) :) :) :)


EMICRANIE/IL SUCCESSO DI UNA TERAPIA SHOCK


Mal di testa
alla prova del chip


La cefalea a grappolo è un dolore che impedisce ogni attività . E incurabile fino a ieri. Un paziente racconta come l'hi tech gli ha salvato la vita


di Carlotta Magnanini


 Una vita in apnea, in attesa di un dolore che periodicamente annulla ogni programma; una malattia che nelle forme più acute è invalidante; un handicap nascosto in testa, poco visibile ma sempre presente, perché da un momento all'altro potrebbe riemergere e scatenarsi. Pierluca Tagariello dei suoi 34 anni ne ha vissuti 16 con la cefalea a grappolo (cluster headache, secondo la definizione coniata nel 1952 da Charles Kunkle). Oggi, però, Tagariello è tra i primissimi pazienti al mondo a essersene liberato per sempre, grazie a una tecnica inedita messa a punto all'Istituto Besta di Milano, che potrebbe dare nuove speranze a chi ha un calendario scandito dalla medesima sofferenza.

Direttore generale a Roma di un'importante agenzia di comunicazione, era impossibile per Tagariello abituarsi a quel mal di testa atroce che la medicina stessa gli attribuiva: la 'cefalea del manager' (o 'del suicidio' come la chiamavano anni fa gli studiosi francesi), caratteristica cioè di uno stile di vita stressante e disordinato, che colpisce soprattutto gli strati medio-alti della popolazione, con pressanti impegni professionali (per questo il rapporto maschio-femmina da 5 a 1 è passato in meno di 20 anni a 2 a 1: proprio per i ruoli di maggior responsabilità  ricoperti dalle donne).

Pierluca aveva paura di programmare una vacanza o un viaggio, non sapeva se avrebbe concluso una riunione o se sarebbe stato puntuale a un appuntamento; non prendeva il sole in estate e non si concedeva neppure un bicchiere di vino per non risvegliare la crisi. Lui della cluster headache ha sperimentato ogni sfumatura: il trauma del primo episodio, l'angosciante apprensione della forma cronica, infine la drammaticità  quotidiana, più e più volte al giorno. "Era come avere una spada conficcata nell'occhio per ore o essere svegliati da un martello che picchia in testa in piena notte. La mia esistenza era spaccata in due: da una parte l'attacco, dall'altra la sua attesa".

Era, appunto. Perché oggi lui ne è uscito definitivamente dopo l'intervento che nove mesi fa gli ha cambiato la vita. La sua storia a lieto fine è però costellata di blackout e cure fai-da-te, tentativi nella medicina tradizionale e svariate incursioni in quella alternativa nel corso di un lungo e improvviso calvario simile forse ad altri. "Avevo 16 anni quando è iniziato", racconta: "Ero a scuola e a un tratto un dolore lancinante ha preso a traforarmi il cranio, il viso era per metà  pieno di lacrime, l'occhio sinistro iniettato di sangue, gonfio. 'Sto per morire', ho pensato". Difficile per chi non lo ha mai provato, o per chi assiste a una crisi, dare un nome, individuare un sollievo per quel trapano: "L'insegnante di filosofia ci provò con una banana: 'Tieni, c'è il potassio'. Poi ci fu la corsa in ospedale, i calmanti, le flebo. E la prima crisi passò così". Non trascorse molto tempo prima di ricevere la diagnosi: "Cefalea a grappolo, mi dissero, ma con la faccia di chi ti sta dicendo che hai un male incurabile. Subito non ci feci molto caso, perché dopo quel primo episodio tutto era tornato alla normalità . Più o meno per sei mesi, fino a quando la spada nell'occhio - nel mio caso il sinistro poiché il grappolo è sempre unilaterale - è tornata per restare una decina di giorni".

Arginare il dolore era una battaglia, una sperimentazione continua: "Interrompevo qualsiasi cosa per andare alla ricerca di un caffè, perché su consiglio dei medici avevo imparato che la caffeina, il ghiaccio e ogni sostanza vasocostrittrice poteva dare un certo sollievo". I primi tempi quella sensazione acuta, perforante, martellante si raggruppava nell'arco di circa dieci-quindici giorni due o tre volte l'anno e una volta superata "quasi me ne dimenticavo, rimandando il problema della cura al grappolo successivo, quando però era ormai troppo tardi per avere la forza di affrontarlo".

I programmi in agenda vanno regolati di conseguenza, secondo un ritmo stagionale che non lascia spazio alla libertà : "In previsione del periodo mi organizzavo sulla base di un ciclo pensando: 'Ecco che si avvicina il mese della sofferenza, che cura provo stavolta?'. Era sempre una strada diversa, un nuovo tentativo per liberarmi della bestia". Perché la bestia spinge a sperimentare le cure più bislacche: "Ho cominciato con la medicina tradizionale cinese e il Qi Gong, continuato con il reiki, tentato con l'iridologia, l'agopuntura, l'ipnosi
 terapeutica, l'omeopatia e i fiori di Bach. Sono andato in India e in Thailandia alla ricerca di santoni, mi hanno consigliato di tornare esattamente da dove ero partito: dai guaritori pugliesi devoti a Padre Pio", continua Pierluca, originario di Taranto.

Poi c'è stato il periodo delle bombole: "L'ossigeno rivela una certa efficacia contro il dolore e per anni due bombole ad altezza umana, da 3 mila e 6 mila litri, sono stati i miei angeli custodi: una in casa di fianco al letto, l'altra accanto alla scrivania in ufficio. Talvolta mi davano sollievo, ma se l'ossigeno non funzionava, perdevo tempo prezioso, perché la puntura prima la fai meglio è". Per arginare il dolore si prescrivono iniezioni di sumatriptan, mentre la profilassi è a base di cortisone, verapamil o litio. Spesso chi soffre ne fa abuso: "I farmacisti erano i miei punti di riferimento, i miei alleati e i miei nemici al tempo stesso", continua: "Non mi bastavano le due dosi al giorno ordinate dal medico, così mandavo parenti o amici al posto mio per convincerli a darmi il sumatriptan senza ricetta". Una cerchia ristretta di amici in realtà , perché la cefalea mina i rapporti sociali: "Io avevo scelto di non interrompere la vita professionale per dare un senso a quella reale. Il lavoro in qualche modo dava un ritmo di normalità  alla giornata, mentre nei periodi di blackout erano ammessi solo gli intimi. Per tutti gli altri era come se partissi per un viaggio lungo un mese".

Fino a quando un giorno arriva una crisi, che sembra devastante e invalidante come le altre; ma che non se ne va. Passano 15, 20 giorni, un mese, due. il grappolo resta conficcato nel cranio: è diventato cronico. "Avevo letto che nel 10 per cento dei casi c'era questo rischio, e che poteva essere un effetto boomerang del cortisone: io ne prendevo 60 milligrammi al giorno, tutti i giorni. Quando realizzi che il periodo non finisce, è lì che comincia la grande paura. La cronicità  ti scardina l'equilibrio precario che ti eri creato tra un episodio e l'altro. E allora cambia tutto". Per Pierluca il cambiamento significa abbandonare le cure selvagge, i tentativi fai-da-te, per mettersi nelle mani di specialisti: "Nel 2002 mi sono rivolto all'Istituto neurologico Besta, che è un punto di riferimento per chi ha il grappolo, e così sono entrato in cura dal professor Gennaro Bussone. Con lui è iniziato un nuovo percorso, mille prove farmacologiche, cortisone, litio, anti-epilettici, che però nel mio caso non erano sufficienti". Con il corpo che cambia, che non sempre risponde ai medicinali e soprattutto che rende evidente che tutte le medicine che prendi non fanno più effetto la scelta diventa abbastanza naturale: "Farsi operare al cervello non ha nulla di eroico, è semplicemente l'ultima spiaggia".

Pierluca decide di sottoporsi alla 'deep brain stimulation', una tecnica risolutiva per la cefalea a grappolo proposta nel 2000 per la prima volta al mondo dal team di Bussone. "È un microchip piantato in profondità  nel cervello e collegato a una batteria, che regola attraverso impulsi l'attività  dell'ipotalamo", spiega Pierluca: "Non era una gran prospettiva, diventare una specie di uomo bionico non mi allettava. Ho passato il mese prima dell'operazione in uno stato misto tra catatonico e fatalista: un modo di gestire la paura. Ma non avevo altra scelta per uscire dal mio incubo. Fino a quando un giorno Bussone mi parla di questa forma meno invasiva dell'intervento che forse poteva dare qualche risultato, anche se sarei stato solo la terza o quarta persona al mondo. Mi dissero che se non faceva effetto avrei comunque potuto tentare l'altra strada. Insomma, non c'era un gran ottimismo, ma neanche controindicazioni".

%   CONTINUA

Skianta

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Re:ARTICOLO SULL'ESPRESSO
« Risposta #2 il: Gennaio 13, 2006, 22:22:29 Ven »
L'operazione proposta consiste nell'impiantare il chip non in profondità  nel cervello, ma sotto pelle, dietro la nuca. È solo un tentativo, una sperimentazione dall'esito incerto. Pierluca accetta, entra in sala operatoria a gennaio, ne esce dopo un intervento in anestesia totale di tre ore (completamente a carico del servizio sanitario così come la manutenzione di elettrodo e batteria). Ne avrà  ancora per due-tre settimane prima di notare il cambiamento, radicale: "Non è stato immediato, ho dovuto attendere una ventina di giorni prima che l'elettrodo cominciasse a funzionare". Fino al miracolo: "Il grappolo è scomparso, da nove mesi sto benissimo, non ho più un attacco e non devo bombardarmi di medicinali".

Gli unici inconvenienti sono quelli di avere una batteria sotto pelle più o meno grande come una pedina "perché il microchip non lo avverto neppure". Poi c'è l'obbligo del tagliando periodico al Besta: "Ci sono stato tre o quattro volte per farmi controllare dal neurologo, che attraverso un computer regola l'intensità  e la frequenza degli impulsi". Ma la guarigione è stata completa e priva di effetti collaterali. Tranne due, non propriamente di carattere medico: "Non posso passare al check-in in aeroporto ed evito tutti gli sport violenti per non rischiare di compromettere la batteria". Tutto il resto è lecito perché, conclude l'ex malato: "Oggi non vivo più nel terrore degli attacchi e mi sento pieno di tutte quelle energie che la sofferenza mi aveva sottratto. Posso fare programmi, viaggiare, vedere un film dall'inizio alla fine, bermi una birra, prendere il sole. dormire la notte e vivere di giorno. E soprattutto con il mio esempio spero di poter dare coraggio a chi si trova nelle condizioni in cui mi trovavo io".






Operazione deep brain stimulation







Parla l'équipe che ha messo a punto l'intervento contro la cefalea Fino a ieri era l'unica strada. Già  utilizzata contro il morbo di Parkinson o l'epilessia, la deep brain stimulation è stata proposta per la prima volta nel 2000 contro la cefalea a grappolo all'Istituto neurologico Besta da Gennaro Bussone. Direttore dell'Unità  Operativa Cefalee e malattie cerebrovascolari al centro milanese, è lui che insieme alla sua équipe (Massimo Leone, Domenico D'Amico, Licia Grazzi e in sala il neurochirurgo stereotassico Angelo Franzini) ha individuato nell'ipotalamo la chiave per sconfiggere questa 'bomba a orologeria biologica' e ha poi esportato la tecnica in tutto il mondo. Non tutte le forme si possono tuttavia risolvere con la stimolazione profonda (di recente utilizzata anche dal Centro cefalee e malattie cerebrovascolari di Vicenza da Giovanni D'Andrea). Perché essa sia utile, spiega Bussone, "innanzitutto dev'essere una cefalea di tipo strettamente unilaterale, i pazienti non devono soffrire di disturbi della personalità . E devono presentare sintomatologie croniche, farmacoresistenti, seriamente invalidanti". In sala operatoria l'intervento si traduce nell'impianto di un microchip che regola attraverso impulsi elettrici l'area ipotalamica, responsabile delle principali funzioni dell'organismo e, in pochi sfortunati casi, anche dei periodici attacchi. Un intervento invasivo per il paziente, al quale però l'équipe sta affiancando in questi mesi un nuovo tipo di operazione, quella raccontata in queste pagine da un paziente. Una versione light, o meglio esterna, che potrebbe essere ugualmente efficace "se seguita dall'opportuno follow-up", precisa Bussone. In quest'ultima variante il microchip non viene inserito in profondità , ma dietro la nuca a livello sottocutaneo, all'altezza del nervo grande occipitale: "Poiché il microelettrodo rimane sotto pelle l'impatto emotivo per il paziente è immensamente minore ", spiega Massimo Leone, dirigente medico dello staff: "Soprattutto, in questo modo l'intervento non comporta alcun rischio". Perché la deep brain stimulation può avere conseguenze mortali: "In Italia non abbiamo registrato alcun decesso, ma è una rarissima possibilità  verificabile nell'1 per mille dei casi" aggiunge Bussone. Nessun pericolo invece per la nuova tecnica, che sui primissimi pazienti sta dando buoni risultati: "È ancora presto per una statistica, finora abbiamo applicato sette impianti esterni. Ma qualora si arrivasse a un numero sufficiente di risposte positive, si tratterebbe di un importante passo avanti", conclude Bussone.

Offline BRIZZ

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Re:ARTICOLO SULL'ESPRESSO
« Risposta #3 il: Gennaio 13, 2006, 23:24:40 Ven »
GRANDE BOSS :)
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Offline gabrielik

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Re:ARTICOLO SULL'ESPRESSO
« Risposta #4 il: Gennaio 13, 2006, 23:45:38 Ven »
ciao Brizz giusto meglio fare le corna ;)

visto Skianta un vero boss detto fatto  :D

spero
 veramente che questa operazioni funzioni veramente con tutti quelli che purtroppo sono al limite della sopportazione anche se questo come dice comporta periodici tagliandi al Besta
e non importa se non si prende l'aereo o si possa fare sport troppo duri ma importa solo che la maledetta sia sconfitta
tornando finalmente a vivere una vita normale :)
« Ultima modifica: Gennaio 13, 2006, 23:49:33 Ven da gabrielik »
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Offline Enry

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Re:ARTICOLO SULL'ESPRESSO
« Risposta #5 il: Gennaio 14, 2006, 10:32:26 Sab »
                        :)

 sono sicura che andando avanti con il tempo scripriranno altre cose  ed operazioni meno invadenti  e che facciano effetto lo stesso... per debellarla del tutto.....


                 incrocio le dita  :-*

                      kiss2) kiss2) kiss2)
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Offline Lucius

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Re:ARTICOLO SULL'ESPRESSO
« Risposta #6 il: Gennaio 14, 2006, 15:38:29 Sab »
Bellissimo articolo!

Grazie Brizz x la segnalazione!

Ammazza ke efficenza e rapidità  Dav! ;)

Luciano Patrucco
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Referente I.C.H.A. (International Cluster Headache Alliance)

Skianta

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Re:ARTICOLO SULL'ESPRESSO
« Risposta #7 il: Gennaio 16, 2006, 00:36:33 Lun »
Con impegno e volontà  si fa quel che si riesce.
Peccato che a volte tra lavoro, famiglia, c.a.z.zi vari e salute non si riesca sempre ad essere così efficienti

Offline gabrielik

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Re:ARTICOLO SULL'ESPRESSO
« Risposta #8 il: Gennaio 16, 2006, 18:11:03 Lun »
Ciao ragazzi c'è anche un articolo su Panorama.it
parla un po di tutto dalla disintossicazione dai farmaci
alla tossina botulinica al topiramato ai farmaci dei bambini etcc...
la notizia è del 19/12/2005.
 e si Skianta hai proprio ragione famiglia..lavoro ..etcc...
non ci rende sempre molto efficenti.

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Offline gabrielik

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Re:ARTICOLO SULL'ESPRESSO
« Risposta #9 il: Gennaio 16, 2006, 18:20:00 Lun »
ciao Lucius anche tu in fatto di efficenza yhuhuuuuu....
grande l'invito OUCH colorato e lampeggiante........ :)
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Skianta

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Re:ARTICOLO SULL'ESPRESSO
« Risposta #10 il: Gennaio 16, 2006, 20:36:58 Lun »
Disintossicarsi dal mal di testa di  Claudia Boselli19/12/2005  

È una vera malattia. Ma, come dimostrano nuovi dati, troppo spesso ci si cura con ogni sorta di analgesico. E il 30 per cento di quanti alla fine si rivolgono ai centri specialistici deve liberarsi di un abuso di farmaci. La soluzione? Terapie personalizzate, anche in base allo stile di vita » Scheda


 
Ne soffrono più le donne degli uomini.
In tutto, un esercito di circa 8-9 milioni di persone solo in Italia.
Di solito il mal di testa è un dolore forte, pulsante, che peggiora con la luce, i rumori e, come si è scoperto di recente, anche con gli odori; può ripresentarsi con crisi ricorrenti.
Ora gli esperti lanciano l'allarme: la metà  di quanti soffrono di mal di testa (emicrania o cefalea, secondo l'intensità  e la sede del dolore) ricorre al fai da te farmacologico.
Un cocktail di analgesici contro il dolore e di antiemetici contro nausea e vomito che crea un circolo vizioso: si chiama tachifilassi ed è l'abitudine a una sostanza che porta all'assuefazione, nonché alla cronicizzazione della patologia. Il paziente diventa, insomma, schiavo della pasticca. La prova è che il 30 per cento dei ricoverati nei centri delle cefalee deve essere disintossicato per uso eccessivo e disordinato di farmaci.

Come si finisce in questa trappola? All'origine bisogna mettere la carente comunicazione fra paziente e medico: il primo non riferisce correttamente i sintomi e il secondo li sottovaluta. La conseguenza è una diagnosi sbagliata.
Secondo gli specialisti dell'Istituto neurologico Carlo Besta di Milano, metà  delle emicranie non sono diagnosticate correttamente.
Lo conferma l'indagine Minerva, apparsa su Current medical research and opinion nel giugno 2004, su 1.810 donne europee di età  compresa tra 18 e 35 anni con almeno sei episodi di cefalea severa o emicrania nell'ultimo anno.
Sebbene l'88 per cento delle intervistate italiane si fossero recate dal dottore nel corso dell'anno, solo la metà  di loro ha esposto i problemi legati all'emicrania e il 59 per cento ha dichiarato di avere avuto la sensazione che il medico li sottovalutasse.

«Sono dati molto significativi di comportamenti che alimentano un circolo vizioso» commenta Luigi Alberto Pini, presidente Lega italiana cefalalgici. «In realtà , il paziente vorrebbe sapere perché ha il mal di testa, ed essere parte attiva nel processo diagnostico. Prima ancora di avere una cura». Da qui l'importanza di un'anamnesi, ossia la storia clinica del paziente raccolta dal medico, il più possibile accurata per individuare i fattori che scatenano le crisi. Una delle prime cose da accertare è che si tratti di cefalea primaria (90 per cento dei casi) e non secondaria (10 per cento), ovvero conseguente a un danno organico, come un trauma cranico, un problema cerebrovascolare, l'ipertensione arteriosa, le anemie, un tumore.


SEGUE%

Skianta

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Re:ARTICOLO SULL'ESPRESSO
« Risposta #11 il: Gennaio 16, 2006, 20:37:50 Lun »
«Alla prima visita non prescrivo alcun farmaco, ma chiedo invece al paziente di scrivere un diario» racconta Gennaro Bussone, direttore del Centro cefalee dell'Istituto neurologico Carlo Besta. Nel diario del mal di testa bisogna descrivere il tipo di dolore (sede, intensità , durata, frequenza e orario), i fenomeni associati (nausea, vomito, fastidio per le luci e per i rumori), i farmaci assunti e i risultati ottenuti. Inoltre quali sono i fattori scatenanti (alimentari, fisici, emotivi, ambientali, ormonali).
«Fondamentale per una diagnosi è capire lo stile di vita del paziente. Sarà  in base alle informazioni così raccolte e ai test per valutare in quale misura il mal di testa limita la vita quotidiana di una persona che si individuerà  il trattamento adatto, la terapia opportuna per l'attacco acuto di quel tipo di mal di testa ed eventualmente si deciderà  come ridurre la frequenza e la severità  delle crisi future». Fanno parte della profilassi le spiegazioni che l'esperto fornirà  sul perché somministra un certo farmaco, perché va assunto ai primi sintomi e quali sono gli effetti collaterali.

Per arrivare a una diagnosi oggi il medico dispone di uno strumento in più: il Migraine act, un questionario, lo stesso utilizzato per lo studio Minerva, presentato a Roma alla prima riunione europea sulle cefalee, cui hanno partecipato neurologi, medici di base e rappresentanti delle associazioni. Il test ha messo in evidenza come solo il 20 per cento dei pazienti usi il farmaco giusto. Al Migraine day sette, la giornata di studio che si è tenuta ad Alba, promossa da Lorenzo Pinessi, direttore della Clinica neurologica II al Centro cefalee delle Molinette di Torino e vicepresidente della Società  italiana per lo studio delle cefalee, si è parlato delle novità  sul fronte terapeutico per l'emicrania.
Nell'elenco dei farmaci preventivi due le sostanze di cui si è discusso: la tossina botulinica, usata finora per spianare le rughe (e forme di distonia muscolare), e il topiramato, già  impiegato come anticonvulsivante nel trattamento dell'epilessia. «L'efficacia della neurotossina botulinica di tipo A nell'emicrania e nella cefalea cronica quotidiana è stata dimostrata da due studi americani durati 11 mesi su oltre 350 pazienti» spiega Pinessi. «Iniettata nei muscoli intorno agli occhi, della fronte o delle mascelle, e in certi casi del collo e delle spalle, allenta la morsa tipica della cefalea nei pazienti con un'importante componente muscolo-tensiva». In Italia la neurotossina può essere usata per ora solo nei centri neurologici specializzati.

La seconda novità , il topiramato, «è una sostanza che agisce sul sistema nervoso come regolatore dell'eccitabilità  dei neuroni.
 I risultati di tre studi preliminari su oltre 1.700 pazienti riferiscono un calo del 50 per cento nella frequenza degli attacchi mensili nel 46,3 per cento dei casi» dice Giorgio Zanchin, direttore del Centro cefalee all'ospedale di Padova e presidente della Società  italiana per lo studio delle cefalee. Il topiramato è stato registrato per la prevenzione dell'emicrania in 41 paesi. In Italia è in attesa di approvazione per questo uso e per ora il suo impiego è limitato ai centri per la cura delle cefalee.

Cautela con i farmaci, invece, nelle cefalee infantili e adolescenziali, dove si è dimostrata efficace la pet therapy. Animali domestici addestrati e psicoterapeuti accompagnano il piccolo paziente in questo percorso. Uno studio dell'ospedale San Carlo-Idi di Roma, uscito sulla rivista Cephalgia di ottobre, ha evidenziato in 40 bambini e adolescenti dai 4 ai 16 anni con emicrania senz'aura e cefalea tensiva cronica una riduzione della frequenza e durata delle crisi, maggior autocontrollo del dolore e un migliore quadro clinico. «Una delle cause scatenanti gli attacchi è spesso la presenza di un disagio psicosociale» osserva Davide Moscato, responsabile del Centro cefalee del San Carlo e autore della ricerca.


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Skianta

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Re:ARTICOLO SULL'ESPRESSO
« Risposta #12 il: Gennaio 16, 2006, 20:38:38 Lun »
Sono sempre di più le persone che, stanche di prendere farmaci, ricorrono alle terapie complementari. Solo agopuntura e biofeedback hanno però alle spalle studi scientifici controllati.
L'agopuntura, da sola o in associazione con le terapie tradizionali, può servire a ridurre l'intensità  e la frequenza degli attacchi di cefalee, in particolare tensive, da stress e premestruali.
Il biofeedback affida alla capacità  di autocontrollo il sollievo dal dolore. Come funziona? Uno strumento elettronico valuta lo stato di tensione della persona, emettendo suoni o luci intermittenti che si interrompono solo quando la tensione muscolare diminuisce.
Il paziente impara a far tacere la macchina e a bloccare sul nascere la crisi emicranica. Ma come e perché si scatena il mal di testa?
Le ricerche in corso per scoprirne le cause non si contano. Un recente studio svolto dal Centro cefalee dell'Università  di Torino ha dimostrato per esempio che esiste un'associazione significativa tra il recettore tipo 2 per le ipocretine (sostanze prodotte dall'ipotalamo) e la cefalea a grappolo.

«Negli animali da esperimento la somministrazione nei ventricoli cerebrali di ipocretina ha permesso di ridurre in modo significativo la trasmissione del dolore» afferma Pinessi, coordinatore della ricerca. Un altro gruppo di ricercatori dell'Istituto San Raffaele di Milano ha individuato nel 2003 in un gene mutato il meccanismo alla base di una rara forma di mal di testa, l'emicrania emiplegica familiare di tipo 2, che riguarda una persona su 60-100 mila.
Lo studio è apparso su Nature genetics. Il futuro terapeutico, anche se per ora ancora lontano, è la farmacogenomica, quella medicina personalizzata di cui molto si parla, basata sul profilo genetico dell'individuo. «Se la possibilità  di una terapia basata sui geni è ancora tutta da costruire, certamente la genomica potrebbe permetterci, in tempi più rapidi, di studiare i pazienti con farmacoresistenza, dopo averne tracciato la mappa genica. E di mettere a punto farmaci in funzione dei geni coinvolti nella resistenza» conclude Bussone.

Offline gabrielik

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Re:ARTICOLO SULL'ESPRESSO
« Risposta #13 il: Gennaio 16, 2006, 22:30:03 Lun »
UAOOOO Skianta grande ottimo lavoro :)
 la pet terapy nei bambini non  avevo mai sentito dire che potesse funzionare anche in casi di ch se questo è vero si eviterebbe l'assunzione di forti farmaci già  da piccoli .
 Ma non riesco a capire perchè il topiramato sia stato registrato per la prevenzione in 41 paesi e in Italia si debba ancora aspettare l'approvazione mha.......

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Offline Roger

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Re:ARTICOLO SULL'ESPRESSO
« Risposta #14 il: Gennaio 17, 2006, 07:52:33 Mar »
Buongiorno bella gente  :)
Gli articoli sono veramente interessanti ed il fatto che si senta parlare sempre più spesso di CH, be, penso che sia un segnale importante no? Vuoi per la riuscita di opere di sensibilizzazione, vuoi per l'aumento, probabilmente, dei casi riscontrati.
Pian pianino arriveranno a dirci il "perché" di questa malattia e poi, chi lo sa, a guarirci definitivamente?
Un abbraccio gente ed una buona giornata a tutti quanti.
...Roger
Ad ogni azione corrisponde una reazione
uguale e contraria.